Vado dritta a punto.
Io scrivo e mi critico da sola.
Scrivo due o tre pagine e poi il giorno dopo ricomincio leggendo dall'inizio. Dalla prima riga che ho scritto. Lo so, lo so... tempo fa avevo parlato di canovacci e di trame, di un lavoro gestito con una certa razionalità che avesse punti fermi da cui tracciare rotte, di agende cartacee su cui prendere appunti di massima.
Resto convinta che questo modo di lavorare porti risultati e sia giusto seguirlo.
Però mi sono accorta che per me non va proprio bene: mi sembra di fare i compiti a casa.
Perdonatemi, vi sembrerò presuntuosa! In fondo lo sono, spesso mi definisco una snob senza qualità.
Ma non sono più capace di seguire le tracce che preparo. Appena le metto sulla carta, perdono tutta la loro dinamicità, diventando inutili.
E così, ostinandomi a continuare a scrivere, ho deciso di essere una Penelope tenace che scrive e distrugge. C'è una frase che ho letto nel sottotitolo del blog Anima di carta di Maria Teresa Steri, una scrittrice che vi consiglio di seguire, perché da lei s'impara molto.
"Scrivete il libro che vorreste leggere" (Chuck Palahniuk).
Ecco io leggo ciò che scrivo e, se mi annoio, cancello; se ho creato un personaggio insulso o un passaggio assurdo, cancello.
Leggo e mi critico.
In questo modo diventa più difficile portare avanti un testo, riprenderlo sempre dall'inizio, conservare la sua trama in mente, abbandonando di fatto la traccia. E' più complicato, perché vesto più ruoli e quello del critico prevale sempre.
La regola aurea è : meglio la pagina bianca di una pagina inutile.
Posso dire, però, che il percorso diventa più soddisfacente: quelle pagine che sopravvivono alle mie sforbiciate sono una lettura gradevole, almeno per me.
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