La scrittura ha potere catartico, aiuta ad esternare ciò che nascondiamo dentro. Occorre solo il coraggio di scrivere ciò che sentiamo nostro. Occorre fare una scelta e decidere di essere leali con noi stessi, senza nascondersi dietro maschere. La scrittura le fa cadere come poveri birilli: scrivere ciò che non ci appartiene ci lascia in mano carta straccia (se abbiamo stampato) o file inutili, degni sempre del solito cestino. Fare i conti con noi stessi ci permettere di scegliere se vogliamo affrontarci oppure se preferiamo quelle inutili invenzioni, oggi fantastiche e domani orribili. Ciò che ci appartiene sarà sempre uguale sia oggi che domani, felicemente o dolorosamente nostro.
Questo non vuol dire scrivere la nostra storia, ma parlare di una qualche parte di noi. Scriveremo probabilmente solo per noi, ma sapremo cosa stiamo scrivendo: qualcosa in cui la fantasia lavora su un sostegno reale, qualcosa attraverso la quale potremo dire la nostra sul mondo.
Ne emergerà qualcosa che sarà diverso da noi, ma che ci apparterrà intimamente, che avrà condiviso una sorta di confessione dei nostri pensieri attraverso una mimesi che li avrà resi diversi.
Cambieranno luoghi e situazioni, nulla risponderà a verità: eppure nulla sarà per noi più vicino di quella storia.
E' un passo difficile da compiere, forse impossibile.Eppure sarebbe reale, vero e legittimo. In un certo modo ci aiuterebbe a crescere, a maturare (si matura sempre, anche se si hanno i capelli bianchi). Imporsi di scrivere qualcosa che non sentiamo nostro si rivela tempo inutile: è come piantare un albero e non avere acqua per alimentarlo; dopo un po' il progetto imploderà, lasciando dietro di sé null'altro che polvere. Occorre il coraggio di ammettere i propri limiti: questo può tramutarsi nella qualità che aprirà la strada a ciò che è veramente nostro. Nessuno ci leggerà? Ci leggerebbero, forse, se scrivessimo ciò che non sentiamo?
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