Pensare una storia che ci appassiona e nella quale sentiamo di poter esprimere la nostra immaginazione, perché scrivere è una sorta di vita vissuta per interposta persona. Nel nostro (o nostra protagonista) esiste sempre qualcosa di noi. Se non fosse così, scrivere diventerebbe impossibile o quanto meno faticoso.
La storia, dunque, diventa qualcosa che entra a fare parte della nostra vita, una creazione che prende forma a poco a poco; qualcosa che ci gratifica e nello stesso tempo ci mortifica, diventando la nostra sfida e l'impegno delle nostre giornate.
Quante volte un personaggio tanto limato finisce nel cestino della spazzatura e la pagina diventa desolantemente vuota? Spesso, forse troppo. Almeno per me che mi accorgo di essere il peggior aguzzino di me stessa. E trascorro un periodo di black out durante il quale lascio perdere, così come ho fatto con questo blog, sul quale riprendo a scrivere stasera, dopo due mesi di silenzio. Di un vuoto, inutile, desolante silenzio di fronte ad un progetto ambizioso, pindarico ed insostenibile: quello di poter dire la mia sul modo di scrivere un libro.
La mia storia ricomincia oggi, ma assumerà un taglio differente.
Saranno soltanto riflessioni su un percorso che inizia senza sapere quale sarà la via all'interno del labirinto.
Saranno soltanto idee per una traccia di lavoro.
Avevo pensato di scrivere la storia di Elena, una giovane ragazza italiana, che vive a Londra. La storia di un incontro tra due persone troppo diverse, Elena e Nicola, ma strettamente legate da un sentimento turbolento.
150 pagine di testo che ho cestinato, ma l'idea mi è rimasta in testa e sto provando a riscrivere guardando dalla parte di lui.
Ho una scena di inizio che non riesco a dimenticare: un bar a Hyde Park e una donna seduta ad un tavolino vicino alla vetrata.
Nessun commento:
Posta un commento